Gli spazi urbani. Sguardi su Taranto


VIAGGI E MIRAGGI
Un pomeriggio alla scoperta della città tra il paradosso e l'inspiegabile

di Massimo Prontera

Chi conosce Taranto per le sue immagini da cartolina, per i suoi tramonti memorabili, per i suoi due mari ed i suoi tre ponti, chiuda gli occhi e provi a dimenticare per un momento i suoi
ricordi e le immagini incise nella sua memoria e si imbarchi con noi in un breve ma ricco viaggio all’interno della città nascosta, della città che non appare ma esiste, un breve viaggio nella città reale, con cui ogni cittadino quotidianamente è costretto a convivere e a rapportarsi. Noi
questo viaggio l’abbiamo fatto e proviamo a raccontarlo attraverso le note appuntate sul nostro taccuino e le immagini rubate dalla nostra macchina fotografica,diviso in dieci piccole tappe, accompagnati dalla colonna sonora del nostro lettore cd.

Tappa1: “Mare mare, qui non viene mai nessuno a trascinarmi via…”
(da “Il mare d’Inverno”. Loredana Bertè)
Decidiamo di iniziare il nostro viaggio dal mare, proprio quel mare che avvolge Taranto da ogni suo lato, punto di approdo nel passato di popolazioni e genti più varie e meta agognata oggi delle torride giornate d’estate. Ci dirigiamo verso l’area residenziale di San Vito, a pochissimi
chilometri dalla cosiddetta città consolidata, soffocata dalle sue tante ville sul mare. Costeggiamo viale del Tramonto. Un nome così suggestivo lascia pensare a scenari meravigliosi e a paesaggi
paradisiaci. Qui fino a pochi anni fa non c’era quasi soluzione di continuità tra la spiaggia e la strada. Ma ora della lunga e informe distesa di sabbia bianca e della rigogliosa vegetazione spontanea che caratterizzava questa striscia di spiaggia lungo il viale è rimasto ben poco. Tutto è stato regolarizzato, disegnato, schematizzato. Ci accoglie ora un desolante piazzale costituito in gran parte da pedane, pavimentazioni e gradinate in calcestruzzo e piazzole per il parcheggio
delle auto. Blocchi cubici in cemento sembrano galleggiare in una vasca ricolma d’acqua di mare. Nulla che lasci pensare ad un punto di aggregazione per i residenti del quartiere o per turisti di passaggio.
Scattiamo alcune foto, prendiamo alcuni appunti e andiamo via.
Delusi ci lasciamo alle spalle il mare e decidiamo di dirigerci verso la città.

Tappa 2: “A vent’anni la vita è oltre il ponte… “ (da “Oltre il ponte”, Modena City Ramblers. Testo di Italo Calvino)
Ci lasciamo alle spalle le spiagge di San Vito e ritorniamo verso la città. Dopo aver oltrepassato i resti di ciò che doveva essere un tempo non troppo lontano una prestigiosa zona balneare, ci
accorgiamo con stupore e curiosità di passare al di sotto dell’unico ponte “griffato” d’Italia. Non possiamo ignorarlo. Non riusciamo a fare a meno di fermarci un momento. Il tutto è troppo curioso e divertente. La grande opera pubblica è firmata da entrambi i lati. Due grandi cartelloni avvertono la popolazione che proviene dai due sensi di marcia di chi sia la responsabilità di quell’opera. Una cosa è certa. In caso di necessità sapremo almeno con chi prendercela…

Tappa 3: “là dove c’era l’erba ora c’e una città…” (da “Il ragazzo della via Gluk”, Adriano Celentano)
Ci dirigiamo verso i nuovi quartieri della città, ed in particolare nella zona denominata Taranto 2. Il nome del quartiere è altisonante e fa riemergere alla mente esperienze urbanistiche analoghe
sperimentate in altre realtà italiane, molto lontane dalla nostra. Chissà se anche qui il Biscione ci ha messo lo zampino... Ma di case immerse nel verde e di laghetti dei cigni qui non v’è traccia. Sarà la stagione che si approssima all’estate ma qui il colore predominante è il giallo dei campi arati e arsi dal sole e il grigio cupo del cemento. Nessun albero, alcun prato fiorito. Ogni tanto si scorge all’orizzonte qualche sprazzo di colore, un rosa, un fucsia, un viola, improbabili accoppiate
cromatiche con cui sono stati decorati alcuni palazzoni che hanno più del popolare che non del residenziale. Tra depositi munizioni, recinzioni militari e ampi spazi vuoti e desolati sorge qua e là un edificio. Scorgiamo la sede della nuova Questura, un grande monoblocco di vetro e cemento, praticamente realizzato al centro del nulla. Scattiamo qualche foto ricordo ma la cosa evidentemente non piace molto agli inquilini in divisa dello stabile in questione che,
accorsi in gruppo verso di noi si apprestano in tutta fretta a identificarci e a chiederci spiegazioni. In attesa di riavere i nostri documenti, chiusi in una anonima sala d’attesa, la riflessione è d’obbligo. Cosa ci sarà davvero di strategico in questa struttura da non poter nemmeno
immortalare il suo valore architettonico? Dopo una mezzora, chiarito l’equivoco, veniamo congedati e possiamo proseguire il nostro giro turistico in tutta libertà.

Tappa 4: “frena che voglio andare al mare…” (da “Frena”, Carlotta)
Un dettaglio colpisce tra tutti. Non è una illusione ottica o un abbaglio prospettico. Due edifici, uno più alto ed uno più basso appaiono un po’ troppo vicini l’un l’altro. Ci avviciniamo. Assistiamo increduli a questo spettacolo del quale non è davvero facile darsi spiegazione. Due edifici distinti si sfiorano, non si toccano tra loro per una manciata di centimetri. Con un po’ di immaginazione sembra addirittura che il palazzo più basso abbia pigiato il pedale del freno appena in tempo per non cozzare contro il palazzo più alto. Solo pochi centimetri separano le due costruzioni.
I cittadini residenti nei due stabili però non si sono persi d’animo e sono andati oltre, tentando di gettare un ponte di pace fra queste due entità, unendo tra loro quello che probabilmente unito non sarebbe mai dovuto essere. Chi ha realizzato un balconcino, chi un pergolato fiorito, chi ha semplicemente ha usato il palazzo vicino per stenderci il proprio bucato al vento. Questione di organizzazione. Portiamo con noi qualche ricordo e veloci ci lasciamo alle spalle questo inconsueto spettacolo.

Tappa 5: “danza la fame nel mondo e un tragico rondò…” (da “Cosa resterà degli anni 80”, Raf)
Il nostro tour prosegue in direzione centro città. Giungiamo ad un originale rondò alberato. Dove un tempo i bambini del quartiere potevano esercitarsi con i pattini a rotelle, oggi sorge un’autostrada in città ma per gli anziani è stato riservato un posto dove riposarsi all’ombra dei pini tra panche e fioriere in cemento e anonime steli artistiche dal criptico linguaggio contemporaneo. Un angolo di paradiso circondato a pochi metri da migliaia di auto che sfrecciano veloci durante tutto il giorno.


Tappa 6: "salirò salirò tra le rose di questo giardino..." (da "Salirò", Daniele Silvestri).
Sul fondo del Viale Magna Grecia una singolare aiuola in erba sintetica da il benvenuto in città al malcapitato turista di turno. Una leggenda vuole che in zona vi fosse un grande vivaio abusivo in seguito espropriato per far posto ad un nuovo giardino pubblico. A dire il vero di verde ne è rimasto ben poco, alcuni alberi e qualche aiuola. La cosa che però attira di più la nostra attenzione è la singolare fontana che campeggia al centro del grande piazzale. La scultura, nelle intenzioni dell’artista rappresenta un gioco di delfini imbizzarriti avviluppati gli uni con gli altri. Dell’acqua però nemmeno una traccia. Un cartello ci avvisa inoltre che dovrebbe esserci in zona anche una pista ciclabile, ricordo di antichi “fasti” della città, ma anche qui della pista come delle biciclette non v’è alcuna traccia.

Tappa 7: “mi son vestito da guardiano e sono andato all’acquedotto…” (da
“Acquedotto fosforescente”, Tricarico)
La nostra visita alla scoperta dei tesori nascosti della città ci porta ad incrociare le antiche vestigia della Taranto greca e romana. Percorrendo con l’auto Corso Italia, asse viario centrale dell’omonimo rione, il nostro sguardo si rivolge a ciò che sembra essere un cumulo di sassi e muretti crollati. Semisepolti tra alte erbacce e pattume vario sorge ciò che resta dell’antico acquedotto romano. E dire che un grande cartello ci avvisa che lungo il nostro percorso potremo ancora imbatterci in altri ritrovamenti archeologici di questo genere. Se il buongiorno si vede
dal mattino…

Tappa 8: “coi grattacieli sempre più alti e tante macchine sempre di più…” (da “Com’è bella la città”, Giorgio Gaber)
Il piazzale cosiddetto Bestat è facile da riconoscere. I suoi alti grattacieli sono lì da quasi quarant’anni a ricordare come è possibile fare buona architettura e non saperla gestire. Lo sfrecciare delle auto al di sotto del grande piazzale è il suono ricorrente, monotono ed assordante.
Il piazzale ora è vuoto, assolato, troppo grande forse per essere percepito come punto di aggregazione. Troppo grande per non disorientare il passante. Intanto i segni del tempo
iniziano a farsi sentire. Il cemento si sgretola e la pavimentazione si solleva.
Un paradiso per gli skater, gli unici che appaiono davvero divertiti.

Tappa 9: “…sulle panchine in Piazza Grande…” (da “Piazza Grande”, Lucio Dalla)
Ci lasciamo alle spalle il Piazzale Bestat e ci dirigiamo verso il centro cittadino.
Ma non possiamo ignorare il grande vuoto urbano di Piazza Marconi. Da ex mercato cittadino la piazza è stata trasformata in anni passati in un originale giardino pubblico, con aiuole, panchine ed anche un chiosco bar, con l’ambizione di divenire il nuovo punto di aggregazione per i cittadini
del quartiere. Ma di buone intenzioni è lastricato il mondo...


Tappa 10: “…con 2 suore che camminano vicine in una piazza con un grande monumento…” (da “Milano”, Alex Britti)
Ultima tappa: Piazza Bettolo. Un Poseidone in miniatura con in mano stretta una forchetta da dolce al posto di un tridente e quattro cavalli imbizzarriti sono gli elementi decorativi della
fontana in cemento posta al centro della piazza, degna di campeggiare nei giardini delle migliori ville dei casalesi, come raccontato nel best seller di Roberto Saviano. L’ennesima occasione persa da questa città e l’ennesimo trionfo del cattivo gusto dilagante… Ma qualcuno non aveva anche organizzato un concorso di idee su quella piazza? Stanchi ma appagati, terminiamo qui il nostro percorso alla ricerca dei luoghi del paradosso e dell’inspiegabile, sicuri di aver solo compiuto
parte di questo viaggio e che nuove avventure potranno coinvolgerci ancora nel prossimo futuro.
Unica consolazione, l’aver trascorso un originale pomeriggio al sole con amici, ascoltando comunque buona musica.

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