Arte. Futurismo


SPAZI URBANI NELL'ARTE
LE RAFFIGURAZIONI DEGLI SPAZI URBANI NEL TRENTENNIO FUTURISTA
di Rosa Gorgoglione

“Agli artisti giovani d’Italia!
Il grido di ribellione che noi lanciamo esprime il violento desiderio
che ribolle oggi nelle vene di ogni artista creatore … Siano
sepolti i morti dalle più profonde viscere della terra! Sia sgombra
di mummie la soglia del Futuro! Largo ai giovani, ai violenti, ai
temerari!”
(dal Manifesto dei Pittori Futuristi, 1909)

Siamo agli inizi del ‘900, nell’Europa appena uscita dalla 1° Guerra Mondiale, l’intento maggiore è quello relativo alla ricostruzione ed alla riconversione industriale, scienza e tecnologia vivono
una stagione di crescita impetuosa, dalle campagne arriva nuova forza lavoro alle nuove industrie. Questa grande quantità di immigrati costringe la città a cambiare completamente il suo volto sia sul piano urbanistico che della composizione sociale, sorgono nuove periferie,
fa la sua comparsa il tram elettrico, nascono le scuole serali. Le città vivono una stagione di trasformazione e di crescita verso una dimensione metropolitana.
“Sento che voglio dipingere il nuovo, il frutto del nostro tempo industriale”. Così afferma Umberto Boccioni, uno dei massimi esponenti del Futurismo. L’arte non doveva essere più statica, distante dal reale, ma capace di assimilare nella sua essenza la vita intesa come pulsione vitale. I ritratti rassicuranti della borghesia posti in primo piano rispetto il paesaggio urbano -La signora Massimino e Autoritratto (1908) di Umberto Boccioni- cedono il passo alle rappresentazioni di un tessuto urbano e sociale dinamico, vorticoso, in pieno cambiamento.
Ed ecco che il movimento, la luce, la velocità, il volo degli aerei diventano oggetto delle ricerche espressive per i giovani artisti come Boccioni, Carrà, Balla, Severini, Russolo e Marinetti per i quali la città industriale diventa oggetto di interesse e di studio tanto da indurli a
sottoscrivere il “Manifesto del Futurismo” pubblicato sul quotidiano francese “Le Figarò” il 20 febbraio del 1909.
Il documento decretò la nascita del Futurismo proponendo una rinuncia totale del passato ed una nuova visione dell’esperienza umana “.. I pittori ci hanno sempre mostrato cose e persone poste
davanti a noi, noi vorremmo lo spettatore nel centro del quadro”.
Il quadro che più di tutti raffigura il risveglio di una moderna città industriale è La città che sale (1910) di Umberto Boccioni. Con questo dipinto l’autore si proponeva di “erigere un nuovo vibrante e dinamico altare alla vita moderna”, la metafora del progresso è evidente sia
nel titolo che nelle scene: sullo sfondo si coglie la visione di una periferia urbana in costruzione, nella parte superiore compaiono ciminiere e impalcature, il tutto fuso con gli operai al lavoro ed i
cavalli imbizzarriti. E’ la visione di un moto vorticoso inarrestabile, con linee-forza pluridirezionali sullo sfondo, il tutto coinvolto nella vorticosa crescita del cavallo imbizzarrito.
Boccioni mette così in risalto alcuni degli elementi più tipici del Futurismo, quali l’esaltazione del lavoro dell’uomo e l’importanza della città moderna plasmata sulle esigenze del nuovo concetto di uomo del futuro, sulla tela non è più rappresentato un istante di movimento ma il movimento stesso che coinvolge l’oggetto e lo spazio in cui esso si muove.
Un esempio di immersione totale del soggetto nelle forze vive della città lo troviamo sia in Visioni simultanee (1911) che ne La strada entra nella casa (1911) di Boccioni in cui una donna, affacciandosi al balcone, riceve l’impatto della vorticosa attività umana nella piazza sottostante. In ambedue i quadri gli oggetti si compenetrano, si sovrappongono, si intersecano. Diversa è l’immagine dell’uomo e dell’ambiente che lo circonda che dipinge Carlo Carrà in Stazione di Milano (1910-1911). Il quadro raffigura come palcoscenico della nuova cultura urbana, la stazione ferroviaria.
L’immagine dell’azione umana all’interno di una stazione, con la sua folla di viaggiatori dà l’impressione di una massa anonima e laboriosa: persone esauste per un’esistenza di lavoro. In lontananza si riconoscono alti edifici popolari, con il loro tetto rosso e la facciata semplice e chiara. Domina il centro del dipinto un treno che con la propria ombra scura avanza pesantemente sull’ambiente e sulle persone. La macchina sovrasta e schiaccia l’umanità, relegandola ai margini. Lo stesso Carrà, in Luci notturne (1911) racconta un contesto rituale di socialità urbana diametralmente opposto, nello spirito. All’ineluttabilità della solitudine urbana e alla fatalità del lavoro descritte con accenti espressionisti in Stazione di Milano, contrappone una folla riunita in
una piazza cittadina che sosta in un clima di festa e assiste, rapita, a uno spettacolo itinerante.
Carrà assegna un ruolo privilegiato alla luce: rispetto alla staticità della folla in contemplazione, i lampioni creano e sostengono dei giochi di luce centrifuga che offrono una certa spinta dinamica a una scena pressoché immobile, un’altra fonte luminosa del dipinto è costituita dagli edifici sullo sfondo che sollevati e brillanti, riempiono la parte superiore della tela.
Luigi Russolo ne La strada ferrata (1910), ricorrendo alla tecnica divisionista e ad una gamma cromatica ricca di improvvise dissonanze ritrae l’ambientazione tipica di una desolante periferia urbana fatta di edifici popolari, ferrovie che tagliano lo spazio abitato, ciminiere, fabbriche e fumi. E’ l’immagine tipica della periferia milanese all’inizio del secolo, la strada ferrata rappresenta il vettore di espansione della città, non c’è traccia umana ma se ne avverte la presenza attiva,
perché il lavoro è dentro le fabbriche, è accanto alle macchine, ed è incessante.
Gino Severini si è interessato molto alla velocità come valore in opposizione all’immobilità del contesto architettonico urbano. Tram in corsa (1913) fa parte di una serie di tre dedicate al tema del tram in movimento che si compenetra con le forme statiche della città. Lo spazio è sconvolto dall’impatto visivo della corsa del veicolo. Le due realtà del tram e della città sono frammentate e frammiste, creando l’insieme caotico entro cui i palazzi vengono risucchiati e inclinati a causa dell’effetto dinamico. Nello stesso periodo Mario Sironi si allontana dal futurismo, nei due quadri Paesaggio urbano (1915-1917) e Paesaggio urbano con tram (1920), non coglie più una scena in movimento ma raffigura una situazione di frontiera, in cui la città si confronta con il suo proliferare verso la periferia. Il paesaggio urbano non è rappresentato con gli elementi che testimoniano una rapida crescita ma è rappresentata una situazione di contrasto, Sironi evidenzia i poderosi volumi delle fabbriche e delle gigantesche ciminiere che si innalzano al cielo
contaminandolo con il loro fumo nero. In primo piano corre un tram al cui interno si intuisce la presenza umana, questi ultimi sono elementi minuscoli e insignificanti rispetto all’immane periferia industriale Il terzo ed ultimo decennio futurista vede l’affermarsi dell’aeropittura,
risultato del nuovo punto di vista che l’uomo era riuscito a perseguire grazie al volo aereo. La visione aerea cambia le modalità della percezione, costringe l’occhio a un approccio simultaneo. La veduta urbana dall’alto non si riferisce più all’approccio etico, capace di suggerire il posto dell’individuo all’interno della collettività urbana, l’uomo si crede ormai un essere icariano, che domina il mondo ed è destinato a viaggi interplanetari.
Nelle opere Studio per “A 300 km sulla città” (1930) e Paesaggio con tre arcobaleni visto dall’alto (Miracolo di luci volando) (1932) di Gerardo Dottori, la visione della città non è più quella degli scenari urbani ma di una città vista dall’alto, con le sue modifiche e le metamorfosi provocate, nel paesaggio rappresentato, dal movimento e dalla velocità di un aereo che lo sorvola.
I centri abitati sorvolati dal pilota vengono rappresentati come apparizioni fugaci e transitorie, dettagliate e mutevoli al tempo stesso, per rendere il parossismo della visione dinamica e simultanea concessa dalla velocità.
L’esperienza del volo diventa per Tato (Gugliemo Sansoni) occasione per sottolineare la continuità tra l’antico e il moderno, in Sorvolando in spirale il Colosseo (Spiralata) (1930) l’elevazione dell’aereo nei cieli finisce per dare rilievo all’elevazione architettonica del monumento.
La città di Milano, che con la sua aura di modernità mitteleuropea ha stimolato lo spirito futurista facendo da sfondo alla prima stagione del movimento, ha dedicato dal 6 Febbraio al 7 Giugno 2009 una mostra in occasione del centenario della nascita del Futurismo.
Le opere d’arte non solo trasmettono un piacere visivo, ma forniscono un prezioso aiuto alla comprensione della molteplice realtà che ci circonda, sembra quasi che i Futuristi siano tornati per vedere che fine ha fatto l’eredità che ci hanno lasciato, loro che volevano ridisegnare l’intero ambito dell’esperienza umana in una chiave inedita, ci spingono ad interrogarci sullo stato del nostro futuro.
La città è un organismo vivo, non costituito solo da edifici, ma da uomini. Le strade, le piazze, i palazzi sono il substrato su cui i cittadini costruiscono le loro relazioni sociali. Partendo dalla consapevolezza che la loro conformazione può rallentare o favorire lo sviluppo di tali
relazioni, ma non impedirle, diventa fondamentale la qualità degli spazi urbani che ci circondano per la “costruzione” della qualità dei rapporti e della nostra vita sociale.

Bibliografia
• Angelo d’Orsi «Il Futurismo tra cultura e politica. Reazione o rivoluzione?»,
Editore Salerno, Roma 2009;
• G. Lista «Futurismo. Velocità e dinamismo espressivo», Santarcangelo di
Romagna, KeyBook/Rusconi libri srl, 2002;
• G. Lista, A. Masoero, a cura di, «Futurismo 1909-2009. Velocità+Arte+Azione»,
Catalogo della mostra, Palazzo Reale, Skira, Milano 2009.

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