Terremoto de L'Aquila




L'AQUILA: CRONACA DI UNA FINE ANNUNCIATA

di Massimo Prontera

6 aprile 2009. Ore 3.32. La provincia de l’Aquila viene svegliata da un boato senza precedenti. La terra inizia a tremare come mai negli ultimi decenni. In pochi attimi della città storica ed elegante
dell’entroterra abruzzese restano macerie e nuvole di polvere, urla e grida strazianti. Nella notte tra la domenica delle palme ed il lunedì successivo i cittadini di L’Aquila e di altre località della sua provincia perdono tutto, casa, attività lavorative e professionali. Perdono amici, parenti, figli e genitori.
Alla fine, dopo giorni di soccorsi in estrema emergenza, scavando senza tregua tra le macerie, il bilancio del sisma è duro da digerire. I morti sono 298, i feriti più di 1500.
I sismografi registrano una magnitudo 5.8. In realtà non una magnitudo così tanto elevata, ma i danni sono incalcolabili in termini di vite umane e di danni alle cose.
A L’Aquila in pochi minuti crolla tutto, ciò che poteva crollare e ciò che non doveva crollare. Viene ridotta in cenere la Sede della Prefettura, allocata in uno stabile storico nel centro della città, struttura dalla quale secondo i piani di emergenza della Protezione Civile si sarebbe dovuta gestire l’emergenza organizzativa.
Crollano edifici di 30, 40 anni appena, restano in piedi palazzi ultrasecolari. Lesionato in maniera considerevole e reso inagibile da subito il nuovo ospedale civile, aperto da una manciata di mesi appena e ultimato, dopo trent’anni di varianti e stop dei lavori.
Dichiarate inagibili moltissime case private ed altrettante scuole ed uffici pubblici. Ma il simbolo
del dramma diventa da subito la Casa dello Studente, ridotta in macerie dalla prima scossa
e sotto i cui resti muoiono otto giovani studenti, colti nel sonno dal terremoto.
La Protezione Civile gestisce da subito e con efficacia l’emergenza dei primi giorni dopo il
terremoto. Sono i giorni più duri. Le scosse continuano, tutto il giorno e durante la notte.
L’Italia intera si stringe attorno all’Abruzzo con una partecipazione emotiva e concreta come mai negli ultimi anni. I media nazionali ed internazionali, pur con alcune, forse troppe, cadute di stile nel raccontare gli avvenimenti, contribuiscono a fare del terremoto dell’Abruzzo un caso nazionale. Le raccolte di fondi e di generi di prima necessità si susseguono giorno per giorno.
Per L’Aquila partono volontari armati di pazienza, buona volontà e soprattutto passione civile. Per diverse settimane l’Italia ha dato il meglio di sé per collaborare al superamento dell’emergenza.
Ma l’Italia migliore non è riuscita a celare le reali motivazioni di questo disastro che non risiedono solo nel movimento improvviso e imprevedibile della faglia appenninica, ma anche nello stravolgimento del territorio e nel suo uso spregiudicato e dissennato. La magnitudo
registrata con la prima scossa, la più dura, non giustifica infatti i danni arrecati e la quantità e qualità dei crolli verificatisi tra L’Aquila e provincia. Classificata da anni come zona ad alto rischio sismico, la provincia aquilana avrebbe dovuto seguire regole e tecniche specifiche nella realizzazione delle nuove costruzioni come negli adeguamenti delle vecchie strutture edilizie.
Ma solo pochi secondi hanno svelato l’inganno e smascherato i colpevoli. Le normative sismiche sono state spesso disattese o applicate in minima parte. La qualità dei materiali impiegati ha tolto
il velo su un malcostume che tutti conoscevano e a cui tutti o buona parte degli operatori del settore partecipava.
Le buone tecniche edilizie sembrano ad un tratto essere scomparse.
Gli immobili degli anni 60 e 70 del secolo scorso, epoca del boom edilizio italiano, hanno dimostrato la loro inefficienza dal punto di vista strutturale. Gli edifici degli anni successivi poi non hanno mostrato miglioramenti significativi dal punto di vista costruttivo. Scarsa
qualità dei cementi impiegati, armature non a perfetta regola d’arte, ma soprattutto una sottovalutazione assoluta del problema sismico hanno contribuito a creare una situazione divenuta insostenibile al primo terremoto più intenso. La qualità della progettazione e della
buona architettura hanno quindi lasciato campo libero alla ignoranza ed alla pura speculazione.
Sotto accusa le categorie professionali tecniche ed i costruttori edili, incapaci probabilmente di affermare le ragioni della qualità e della sicurezza sulla speculazione.
Gli stessi architetti, ingegneri e geometri saranno chiamati ora a riorganizzare gli spazi urbani colpiti dal terremoto e a ripensare nuove e più adeguate soluzioni per prevenire altri eventi così disastrosi.
Varie le proposte in campo per la ricostruzione de L’Aquila e delle decine di comuni piccoli e meno piccoli coinvolti dal sisma. Dal Governo centrale è giunta fin da subito la proposta della costruzione di nuovi quartieri satellite, denominati subito new town e dello spostamento dei cittadini sfollati.
La soluzione proposta non ha determinato però l’approvazione dei cittadini per i quali la città è una sola e non sono ammesse altre nuove realtà urbane, senza storia e senza memoria.
Abbandonata per ragioni di sicurezza la città della memoria, intanto la cittadinanza è costretta a vivere la quotidianità delle tendopoli, nuove città della precarietà e della provvisorietà in attesa che la cittàdel futuro e dell’immaginazione possa tramutarsi dal sogno di una casa nuova a segno vivo e pulsante di una L’Aquila rinata e tornata a vivere.

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